RUSPANTE: CIOÈ?

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Dal latino “ruspari”: andar cercando. Ruspare significa razzolare a terra per cercare cibo, e non lo fa solo un pollo che se ne vada per il prato in cerca di vermi, ma anche un umano che rastrelli e spigoli frumento, olive, castagne cadute …

Si diceva ruspante quel “pollo allevato secondo il tradizionale sistema rustico, nato dall’uovo covato dalla chioccia, cresciuto libero nei campi e nutrito a base di granturco, crusca e avena”.

“Il pollo di campagna”: lo si chiamava così e lo si faceva, un tempo, anche per distinguerlo da quello cresciuto nei grandi allevamenti organizzati rispetto ai quali si intendeva rappresentare l’idealizzata supremazia, si badi bene “gustativa”, del ruspante, cioè del rustico.

Tutto quello che è ruspante è definibile anche rustico: formaggi, pane, case, persone … tutto ciò che non subisce cioè particolari attenzioni nel dargli forma e comunque durante la sua crescita, considerando implicitamente questa pratica come “naturale” e quindi priva di interventi che ne alterino la sostanza “grezza”.

Tuttavia il termine ruspante è rimasto collegato soprattutto all’immagine del pollo, tramandandosi indebitamente come emblema di una genuinità che di vero e razionale ha molto poco se solo la si analizzasse secondo le conoscenze sanitarie acquisite nel tempo dagli allevatori.

Oggi il termine ruspante non è affatto in disuso e viene anzi utilizzato, anche con leggerezza forse nostalgica, ma più probabilmente calcolata sul piano psicologico, di evocare le fattorie di una volta. Ma è tecnicamente una risposta ad una domanda cosiddetta “del mercato” stimolato a farlo dalle iniziative bio, animaliste e ambientaliste che in modo irrazionale tendono ad imporre scelte emotive e suggestive, ma retrograde sul piano scientifico.

Attualmente quindi si definiscono “ruspanti” animali che vengono allevati secondo norme che tentano di recuperare condizioni idealizzate. Norme che prevedono ci sia la disponibilità per gli animali di un accesso all’esterno per almeno una parte della giornata, indipendentemente dal fatto che i polli scelgano di uscire o meno. Tenendo conto che la natura del pollo lo porta ad essere diffidente rispetto allo spazio a cielo aperto, per il timore atavico di essere predato da rapaci  e altri animali.

Oltretutto non ci sono requisiti determinabili con precisione e razionalità, che siano condivisibili con gli animali, né per la durata del tempo che il pollo deve trascorrere all’aperto, né sulle dimensioni dell’area esterna o il tipo di suolo su cui “ruspare”. Tuttavia gli allevatori, in minima percentuale, accolgono questa evocazione del passato da parte del “mercato” mettendogli a disposizione quello che chiede.

Ma anche i polli ruspanti soggiornano poi in allevamenti coperti che non impediscono affatto l’atto di ruspare e agevolano la loro vita sociale e le esigenze di accesso a cibo sano e acqua pulita.

A parte la disponibilità dello spazio esterno (cui il pollo accede malvolentieri) non si notano evidenti differenze fra il “ruspante” e “gli altri”. Tutti indistintamente preferiscono stare vicino all’acqua e ai mangimi, che di solito si trovano all’interno dell’allevamento, e alla fine prediligono spontaneamente la capacità degli allevamenti di gestire le temperature ottimali, dell’ambiente a loro riservato in funzione della loro età.

Va detto inoltre che non tutti i polli possono essere definiti biologici solo perché ruspanti, mentre tutti i polli biologici sono ruspanti.

Si tratta quindi più che altro di definizioni che assecondano le citate esigenze irrazionali di una parte di popolazione. Ma nei fatti tutti i polli dei moderni allevamenti, ruspanti o meno, sono sani. Le differenze più evidenti possono essere le dimensioni e il maggior costo sia per l’allevatore che, ovviamente, per il consumatore.

Scusate la rusticità dell’argomento.

Pietro Greppi

Ethical advisor

info@ad-just.it

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