POLLI A CRESCITA LENTA: FORSE NON TUTTI SANNO CHE

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Ecco il link al mio articolo sui polli a crescita lenta uscito su Il Fatto Alimentare: https://ilfattoalimentare.it/polli-a-crescita-lenta.html

Qui di seguito invece lo stesso articolo in versione integrale che include alcune informazioni tecniche aggiuntive che nell’articolo linkabile sono state tolte per questioni di spazio e di semplificazione:

https://ilfattoalimentare.it/polli-a-crescita-lenta.html

AVICOLTURA: PERCHÉ LE RAZZE LENTE COSTANO DI PIÙ?”

La carne di pollo ha un costo contenuto, ma in diversi supermercati si trovano confezioni provenienti da razze avicole “a crescita lenta” vendute a prezzi  dal 30 al 100% in più. Perché? In due parole si potrebbe rispondere “che si tratta di razze meno efficienti” rispetto a quelle convenzionali con caratteristiche genetiche che richiedono tempi più lunghi per la crescita e questo comporta costi di mantenimento maggiori, quindi più cibo, più acqua, più spazio nei capannoni…

Per capire meglio bisogna fare qualche passo indietro. C’è una data che ha stabilito la svolta, il 1948 negli USA. Fino a quel momento le razze che nei secoli si erano sviluppate nel mondo erano il risultato delle continue selezioni naturali dovute a incroci spontanei e a scelte fatte dai singoli allevatori per il loro approvvigionamento alimentare o  per il  piccolo commercio.

Allora si contavano almeno 300 razze  in giro per il mondo. In Italia c’erano (e ci sono ancora) la Ancona, la Bianca di Saluzzo, la Ermellinata di Rovigo, la Livorno, la Modenese, la Padovana, la Scodata, la Siciliana, ecc.. Sono razze selezionate nei secoli per aumentare la produzione di uova.

La carne di pollo era un argomento marginale che interessava solo le galline vecchie e i pulcini maschi. Tutte queste razze oggi sono classificate come “rustiche”, in contrapposizione alle razze ibride moderne.

Una parte dei polli oggi considerati rustici proviene da queste razze selezionate artigianalmente nel passato, come si può leggere in questo articolo del gennaio 1921 del National Geografic: https://www.nationalgeographic.com/environment/future-of-food/poultry-food-production-agriculture-mckenna/

Le due guerre mondiali aprirono emergenze che impattarono sul sistema di approvvigionamento alimentare, e si creò la necessità di soddisfare una maggior richiesta di carne per gli eserciti. Il problema venne in parte affrontato durante la rinascita economica, a fronte di  una maggiore disponibilità di reddito.

Nel 1948 negli USA venne indetto un concorso per individuare il “pollo moderno” per la produzione di carne, ottenuto da ibridazione delle razze. Il  concorso fu “il primo stimolo ufficiale” per ottimizzare  la massima efficienza nel mondo dell’avicoltura.

L’invito a selezionare le razze più efficienti, fu determinante per lo sviluppo delle tecniche di allevamento. Da quel momento si innescò “una competizione” che portò ad un miglioramento del concetto di ibridazione e di conversione alimentare basato sul concetto: quanti kg di mangime servono per ottenere un kg di carne o di uova?

In questo modo si cercava di rispondere alla crescente domanda di alimentazione mondiale prestando attenzione alla selezione di razze più efficienti sul piano della conversione alimentare. Le razze preesistenti al 1948, quelle oggi chiamate tradizionali, hanno continuato ad esistere perdendo però la loro importanza economica.

Proseguendo nella  ricerca di ibridi il settore avicolo ha ottenuto quelle che vengono oggi definite “razze convenzionali” caratterizzate da una velocità di crescita  e  da un’efficienza “imbattibile” se paragonata alle razze “rustiche” che includono quelle a crescita lenta. Questi polli sono ancora richiesti dai consumatori che hanno una particolare concezione del benessere animale e apprezzano aroma, sapore e  consistenza della carne di questi animali che rimandano all’idea di un pollo della “fattoria della nonna”.

Per anni la selezione delle razze convenzionali a crescita rapida si è focalizzata sulla minore mortalità e sulla maggiore resistenza alle malattie oltre che sull’efficienza alimentare con la conseguenza di una minor impronta ambientale. L’avicoltura nel tempo ha così ridotto significativamente l’uso di acqua,  di terreni agricoli, elettricità e altre risorse conseguendo al contempo  migliori risultati commerciali. Riduzioni che di anno in anno migliorano.

Oggi il comparto del pollo convenzionale a crescita rapida è arrivato a ridurre del 50% il proprio impatto per produrre gli stessi numeri del 1965, consumando il 75% in meno delle risorse necessarie, riducendo del 36% l’impatto sulle emissioni di gas a effetto serra, del 72% i terreni agricoli utilizzati e del 58% l’acqua utilizzata (operando sulla riduzione degli sprechi). Tutte “conquiste” in termini di sostenibilità  rese possibili allevando razze convenzionali a crescita rapida.

Ciò non succede con i polli a crescita lenta che rappresentano dal 5 al 10% del mercato europeo e che comportano costi e consumi molto più elevati.

Questa percentuale di mercato alternativo è approssimativa, ed è difficile precisarla diversamente a causa del fatto che i criteri di allevamento alternativo sono fra i più disparati nei vari Stati, ed è a sua volta costituita da due macro-richieste curiosamente divise geograficamente fra nord e sud Europa.

La richiesta alternativa del sud Europa (Spagna, Portogallo, Italia, Grecia) è maggiormente orientata verso elevate qualità organolettiche, con polli dall’aspetto “tradizionale”, tendenzialmente colorati (bruni più o meno uniformi).

La richiesta  che proviene invece dal nord Europa è culturalmente più focalizzata sul benessere animale (almeno per come viene inteso dalle associazioni animaliste) e l’utilizzo di soggetti a crescita più lenta (l’animale non deve crescere più di 50 grammi al giorno).

Ogni paese europeo ha delle proprie specifiche procedure per il riconoscimento di un tipo genetico come “a crescita lenta” per cui il termine “razza” in realtà è improprio, perché si tratta di genotipi (generati cioè da incroci fra razze).

Tutte le informazioni volontarie, quelle che si trovano sulle etichette ma che non derivano da un obbligo di legge, per poter essere utilizzate nel nostro Paese devono essere inserite e regolamentate in un disciplinare di etichettatura delle carni di pollame autorizzato dal Mipaaf ai sensi del DM 29 luglio 2004. Il disciplinare è sottoposto al controllo di un organismo indipendente, secondo un piano approvato dal Mipaaf. In Italia c’è un solo disciplinare, quello di Unaitalia, attivo dal 2005 che prevede, tra l’altro, l’informazione “genotipo a lenta crescita” o “genotipo a lento accrescimento“.

I genotipi utilizzabili attualmente sono solo 11,  corrispondenti a quelli autorizzati con decreto del Mipaaf (sulla base di un parere espresso dal CREA) che indica i requisiti da rispettare, come l’età minima di macellazione o la percentuale di cereali nella razione alimentare.

Oltre a questi si registrano i “genotipi a lenta crescita autorizzati per il biologico” per i quali, mentre negli altri paesi europei il criterio di attribuzione è quello dell’accrescimento giornaliero, in Italia è necessario un decreto di riconoscimento del Mipaaf (sempre a seguito di una valutazione da parte del CREA) che valuta, oltre agli accrescimenti giornalieri, anche l’attitudine degli animali a utilizzare gli spazi all’aperto.

Sono stati quindi riconosciuti come genotipi a lenta crescita utilizzabili per il biologico, 5 fra quelli già autorizzati per il disciplinare. In entrambi i casi (“genotipo a lenta crescita” in etichetta per prodotto non biologico e i genotipi a lenta crescita per il biologico) gli allevatori devono mantenersi all’interno di una filiera che sia in grado di valorizzare questa informazione.

L’utilizzazione di genotipi a lenta crescita sul mercato è a livelli simili a quelli degli altri paesi europei, sicuramente di nicchia, ma in potenziale crescita. Si tratta, infatti, di prodotti particolari, che per le loro dimensioni ridotte non si prestano al classico porzionamento e vengono quindi cucinati interi, richiedendo tempi di cottura più lunghi e che per questo non incontrano la preferenza di tutti i consumatori, ma, appunto, solo di una nicchia.

Per soddisfare comunque la richiesta alternativa, l’industria avicola ha due possibilità: o tornare ad utilizzare razze tradizionali rustiche come la tipica Livornese di un tempo e la Bionda di Villanova, con elevati costi di allevamento che si riversano sul prezzo finale, o sviluppare nuove razze lente, selezionando opportunamente gli animali in modo da scegliere ancora quelli più efficienti per cercare di rispondere sia alla richiesta degli animalisti sia degli allevatori cercando di avvicinare i costi di produzione, e quindi il prezzo allo scaffale, a quelli convenzionali.

Quest’ultima è una scelta che alcuni allevatori stanno portando avanti in autonomia. In genere i polli a crescita lenta hanno maggiori costi, rispetto al convenzionale: mangiano di più e crescono di meno. Questo significa che i maggiori costi ricadono sul consumatore finale. Una sfida che in Italia vede già https://zootecnicainternational.com/featured/increased-interest-slower-growing-broiler-ranger-gold/ alcuni consorzi di piccoli allevatori intraprendere questa strada.

Pietro Greppi  – Ethical advisor – info@ad-just.it

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