Perché al supermercato un pollo costa meno di una birra? Svelati i terribili segreti dell’industria del pollame (non solo in UK)

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È questo il titolo dell’articolo per GreenMe con cui Rosita Cipolla il 16 giugno 2021 esordisce sottoponendo al suo pubblico una serie di osservazioni con cui pare voler sostenere una sua (o di altri?) qualche teoria sul tema dell’avicoltura. Sono certo di avere informazioni più precise e corrette di lei e di chi lei cita a supporto di una qualche sua tesi che non mi è chiaro quale sia. Per questo ripubblico il suo articolo aggiungendo fra le righe le mie osservazioni (fra parentesi e in rosso) e restando in attesa di un riscontro da Rosita Cipolla o di quanti per e con lei avessero informazioni da opporre, che non siano i filmati da pseudo inchieste (che conosco bene) fatti in allevamenti fuori legge e da cui tutti gli allevatori regolari si dissociano.

Segnalo nel frattempo il blog https://www.esempidaimitare.com/nutriamoci/

che contiene un nutrito elenco di articoli che articolano le risposte a molte delle obiezioni rivolte al comparto avicolo.

 

Cominciamo dal titolo

 

Perché al supermercato un pollo costa meno di una birra?

(Di che genere di birra si parla? E poi che razza di confronto è?)

Svelati i terribili segreti dell’industria del pollame (non solo in UK) (“non solo in UK” è l’unica cosa vera: ma riguarda il fatto che non c’è alcun segreto, semmai non è un tema di cui si parla molto e chi ne parla è chi ha poche informazioni e confuse)

 Il Regno Unito è tra i maggiori Paesi europei che allevano polli destinati al macello: soltanto nel 2020 sono state prodotte 1,7 milioni di tonnellate di carne  (Ok, questo accade perché milioni di altri individui mangiano carne di pollo e loro derivati)

In Gran Bretagna l’industria dei polli sta crescendo a ritmi velocissimi, senza precedenti. E oltre un quarto dei polli destinati al consumo umano proviene da sole tre contee: Hereford, Shropshire e Powys. (Ok e quindi?)  Lo scorso anno nel Regno Unito sono state prodotte ben 1,7 milioni di tonnellate di carne di pollo, con un aumento del 28% della produzione rispetto al decennio precedente. (Ok e quindi?)  

 

Con l’aumento dell’offerta, in questo Paese il costo dei polli è diminuito di quasi un quarto dal 2014. (Benissimo! Quello di mantenere i prezzi bassi è uno degli obiettivi del settore che va sempre incontro alle esigenze del consumatore nonostante i margini in questo settore siano molto bassi proprio perché la cura degli allevamenti per garantire il benessere animale impone costanti e onerosi investimenti) Paradossalmente, nei supermercati britannici un pollo costa meno rispetto ad una pinta di birra. (Benissimo! Quale sarebbe il paradosso?) Il prezzo medio di una pinta nel Regno Unito è di £ 3,47, mentre il costo medio di un pollo intero del peso minimo di 1,35 kg in quattro dei principali supermercati è di £ 3,15. (Benissimo! Ma è forse un invito ad aumentare i prezzi della carne di pollo? Altrimenti significa che sarebbe opportuno chiedere ai “birrai” di abbassare i prezzi … che loro di margini ne hanno in abbondanza)

E, nonostante recentemente il Governo britannico abbia lanciato un Piano d’Azione per il Benessere animale, in questo Paese si continua a sfruttare i polli e altri animali d’allevamento, costretti a sopravvivere in gabbie e spazi angusti. (FALSO. I polli vengono allevati in allevamenti protetti e liberi di razzolare al riparo dagli agenti atmosferici, dai predatori, dalle contaminazioni e dalle malattie che gli animali all’aperto rischiano invece costantemente di subire)

Le (terribili) condizioni degli allevamenti intensivi in Gran Bretagna (?)

Come scoperto grazie ad uno studio durato quattro anni condotto dalla ricercatrice Alison Caffyn dell’Università di Cardiff, circa il 25% dei polli macellati annualmente in Gran Bretagna proviene dagli allevamenti intensivi  delle contee Herefordshire e Shropshire. (Una percentuale quindi piccola rispetto al totale. Tuttavia, per i dati che ha raccolto in quattro anni, bastava chiedere al comparto. Ci avrebbe messo qualche giorno per averli. Il termine “intensivo” poi viene usato da molti con accezione negativa. Sarebbe più corretto definirli allevamenti protetti) Nella maggior parte dei questi animali vivono ammassati e allevati in condizioni disumane. (FALSO– a parte che il termine “disumano” è inappropriato per definire condizioni di vita animale, gli allevamenti moderni sono curatissimi e i polli destinati alla nostra alimentazione sono iper controllati per consentire loro il cosiddetto benessere animale, ovviamente fino a quando vengono destinati alla filiera alimentare umana… ma questo è un altro tema)

Sono rimasta sbalordita dalla vastità dell’edificio di un allevamento che si estendeva di fronte a me e dalla presenza di 45.000 polli ammassati nello spazio. – spiega Caffyn – Beccavano in mangiatoie di plastica o occasionalmente in balle di fieno. (E quindi? Viene descritta una condizione ottimale perché la plastica consente una pulizia ed un’economia di gestione maggiore e la presenza di balle di fieno indica che stiamo osservando un “allevamento arricchito” per consentire all’animale di seguire i suoi istinti naturali di gioco e di beccata) È così che viene allevato il 95% del miliardo di polli allevati nel Regno Unito ogni anno: il pollo è la carne più popolare nel Paese e questi enormi capannoni sono il motivo per cui è così economico. (Benissimo! La dimensione degli allevamenti è quella che consente al comparto di avere contemporaneamente un dignitoso ritorno economico per l’allevatore -che i piccoli allevamenti non consentono- e un prezzo al consumo accettabile dal consumatore)  Gli stabilimenti in cui viene prodotta gran parte della carne del Regno Unito sono relativamente nascosti. (Non sono nascosti, ma fuori dai centri abitati sia per questioni relative alla sanità che per la gestione nel suo insieme) Non soltanto perché la maggior parte delle persone non vuole pensare a come vengono allevati gli animali, ma è nell’interesse dell’industria zootecnica intensiva mantenere un basso profilo. Molti consumatori di carne preferiscono evitare di guardare documentari e leggere notizie riguardanti gli orrori degli allevamenti intensivi (Chi li guarda vede immagini rubate da allevamenti fuori legge e commentati da persone poco e male informate). Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Anche l’industria della carne lo sa e si sforza di mantenere la realtà delle condizioni degli animali allevati separata dal prodotto che la gente compra nei supermercati.(Questo è buon senso e rispetto per le sensibilità delle persone, ma ciò non toglie che poi le stesse persone si nutrono del prodotto di quel lavoro. La società civile ha da tempo delegato a pochi l’onere di occuparsi e preoccuparsi di produrre cibo comodo per tutti. Questione che riguarda anche i pesci)

E negli ultimi anni la situazione degli allevamenti intensivi è andata soltanto a peggiorare. (È esattamente il contrario, perché l’industria che utilizza gli allevamenti avicoli è sempre più efficace e impegnata nell’allestire allevamenti orientati al benessere animale)

Negli ultimi quattro anni, ho studiato come le unità avicole intensive sono state autorizzate a moltiplicarsi in alcune parti del Regno Unito.” – racconta la dottoressa Caffyn –  Ho scoperto che l’industria avicola ha approfittato di regimi normativi e di pianificazione deboli per espandere quella che è un’attività molto redditizia. (Il settore avicolo è notoriamente un settore a bassissimo margine. Solo le grandi dimensioni degli allevamenti consentono di rendere sostenibile economicamente il settore che trae beneficio economico solo e se attrezzato per garantire costose pratiche di tutela e salvaguardia del benessere animale e dello stato sanitario) Quando ho iniziato a tracciare lo schema delle domande di pianificazione nell’Herefordshire e nello Shropshire, esaminando i registri per ogni contea, era lampante che l’industria si era espansa costantemente negli anni ’90 e 2000, con sempre più allevamenti che investono in pollame. (È la normale crescita che segue la domanda di carne avicola) Nel 1900 un capannone medio conteneva 25.000 polli (nel 1900 non esistevano capannoni per gli allevamenti. Anzi non c’era ancora il sistema di allevamento, a meno che non si consideri allevamento anche la fattoria della nonna con qualche decina di polli) per poi arrivare a contenerne 40.000 nel 2000. Ma le nuove regole autorizzano gli stabilimenti ad ospitare tra 50.000 e i 55.000 polli alla volta. (E quindi?) Ho scoperto che c’era stato un improvviso aumento delle domande nei primi anni del 2010, in parte perché i supermercati volevano procurarsi più pollo proveniente dal Regno Unito. (La domanda arriva da chi consuma, i supermercati intercettano la domanda e chiedono agli allevatori di soddisfare le maggiori richieste)Tra il 2013 e il 2012, ad esempio, gli enormi impianti di lavorazione del pollo di Hereford, gestiti dalla multinazionale Cargill, hanno stipulato un nuovo contratto con Tesco per fornire un milione di polli in più a settimana. Ciò ha richiesto altri 90 capannoni in cui allevare polli.(E quindi? Vogliamo parlare dell’edilizia, dell’industria pesante, delle discariche, …?)

Inoltre, secondo la Campagna per la protezione del Galles rurale, nella contea del Powys la densità degli allevamenti di pollame ha raggiunto un livello senza precedenti in Europa. Qui il numero di polli allevati è quasi raddoppiato nell’arco di due decenni. (E quindi?)

Ormai è risaputo che gli allevamenti intensivi sono dei veri lager per gli animali (come rivelato da diverse inchieste) oltre che a rappresentare un pericolo per la salute pubblica.

(FALSO– per capire perché si rimanda a https://www.esempidaimitare.com/nutriamoci/2020/07/05/visita-virtuale-ad-un-allevamento-di-polli/ )

Quando si chiuderà definitivamente questo triste capitolo? (E quali sarebbero i terribili segreti? I miglioramenti tecnologici degli impianti di ventilazione e climatizzazione hanno consentito di costruire nuovi capannoni più grandi che offrono migliori condizioni di vita agli animali anche perché “più grandi” significa in generale anche più spazio)

 

Fonte: The Conversation/Gov.Uk/CPRW

Autrice dell’articolo: ROSITA CIPOLLA
Laureata in Media, comunicazione digitale e giornalismo all’Università La Sapienza, ha collaborato con Le guide di Repubblica e con alcune testate siciliane. Per la rivista Sicilia e Donna si è occupata principalmente di cultura e interviste. Appassionata da sempre al mondo del benessere e del bio, dal 2020 scrive per GreenMe.
Commentatore dell’articolo con il testo in rosso nelle parentesi:
Pietro Greppi – info@ad-just.it – ethical advisor

 

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