LE UOVA DI “NONNA PAPERA”

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Illustrazione di Nonna Papera – Walt Disney

Prolificano i sostenitori di idee pseudo ambientaliste che si accaniscono verso sistemi di allevamento avicolo di grandi dimensioni.

Per creare sentimenti di repulsione, uno dei metodi più semplici adottati è quello di usare in modo strumentale le parole con la suggestione che un loro attento uso può produrre. Come, per esempio, chiamare gli allevamenti “intensivi” anziché “protetti”.

Ma sono anche molti altri i modi scelti per demonizzare gli allevamenti protetti. Fra i più “sottili” troviamo l’apertura di micro allevamenti il cui scopo sarebbe dimostrare che “piccolo è meglio”. Queste ultime sono certo iniziative legittime, ma per nulla efficaci a sostenere filosofie che vorrebbero sembrare sostenibili.

In sintesi possiamo dire che sono purtroppo in molti a pensare che tanti piccoli allevamenti in puro stile “Nonna Papera” possono rappresentare una risposta “etica” e funzionale alle necessità alimentari del Pianeta.

Gli animalisti evidentemente sanno allora esattamente come si devono allevare gli animali? Lo ripetono tutti i giorni assediando l’industria avicola, accusando gli imprenditori di semplice avidità.

Ma è troppo facile criticare e non fare niente o dar luogo a esempi che invece annullano anni di conquiste di benessere animale e di qualità sanitaria per gli animali e per gli alimenti delle persone.

Gli animalisti non hanno mai dato prova pratica di sé stessi e delle loro idee.

Mai hanno azzardato iniziare un’attività avicola sulle basi etiche che loro preconizzano dimostrandone una scalabilità capace di essere funzionale alle reali esigenze degli abitanti del Pianeta. Mai hanno dimostrato al mondo, rischiando le proprie risorse o quelle dei loro sostenitori (cui chiedono incessantemente donazioni in cambio di proclami e battaglie pretestuose), che accontentandosi di una frazione dei guadagni astronomici degli allevatori convenzionali, si possano mettere in piedi attività economicamente sostenibili, etiche ed esenti dalle stesse critiche che oggi loro rivolgono all’avicoltura tradizionale.

Sono sicuro che molti allevatori che -per esempio- fanno riferimento a UnaItalia (associazione di categoria che tutela e promuove le filiere agroalimentari italiane delle carni e delle uova e rappresenta oltre il 90% dell’intera filiera avicunicola nazionale ed una fetta molto cospicua di quella suinicola, e ne valorizza in ogni sede la relativa immagine) sarebbero volentieri disposti ad affittare a queste persone i locali per dimostrare le loro idee.

Fresco fresco, a questo proposito, è uscito un articolo che riprendo in parte e che chi desidera può trovare nella versione integrale anche al link che riporto qui sotto:

https://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/bari/cronaca/21_novembre_09/nel-salento-l-uovo-perfetto-qui-coccoliamo-galline-63b3bff8-4192-11ec-965c-10ee6be5e2c6.shtml

In particolare mi hanno colpito questi passaggi che commento:

“Etica, sostenibilità, biodiversità e tanto rispetto per il mondo in cui viviamo. Sono gli ingredienti con cui a Cutrofiano, nel Salento, da qualche anno si produce l’«uovo perfetto», ormai famoso anche oltreoceano. Un successo esploso subito in Italia e ora divenuto intercontinentale, al punto da attirare pure l’attenzione dell’emittente americana Cnn e del suo inviato di guerra Ben Wedeman: nel loro reportage – andato in onda in occasione dell’apertura della Cop26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Glasgow – hanno definito questo modello di allevamento come «un’alternativa sostenibile» nella lotta per la sopravvivenza che l’uomo, dopo averla scatenata, ha intrapreso con la Natura”… “Siamo partiti con 200 galline, ora sono 6.000: tutte salvate dalla macellazione, oggi allevate al pascolo in un parco di quasi 4 ettari, nutrite solo con granaglie biologiche e ospitate in piccole casette di legno per consentire loro di trascorrere all’aperto anche la notte”.

L’articolo ha un taglio per così dire bucolico e quindi anche suggestivo soprattutto per chi ha in mente la fattoria di Nonna Papera unita a visioni molto parziali di cosa significhi disporre di uova (e carne di pollo) per 8 miliardi di persone che popolano la Terra. 60 milioni di queste popolano l’Italia dove possiamo contare su quasi una gallina per abitante, la qual cosa ci rende indipendenti dalla necessità di importare uova da altri Paesi.

Nell’articolo in questione troviamo quindi una visione di natura e di soluzione autodefinita alternativa e “sostenibile” a quella degli allevamenti di grandi dimensioni, oltre a tante altre parole spese per sottolineare l’entusiasmo di alcune persone per aver scelto di dedicarsi ad allevare galline ovaiole per trarne il proprio sostentamento. La loro attività, per sostenersi, deve necessariamente portare il costo delle uova prodotte a circa 1 euro l’una. Forse anche più. Ce lo dicono. Che qualcuno le compri volentieri non significa null’altro che ci sono persone predisposte a lasciarsi convincere da immagini e dichiarazioni suggestive indipendentemente dal fatto che siano sensate. Quel prezzo al pubblico gli allevatori che riforniscono le famiglie italiane sarebbero felici di poterlo fissare anche per la loro produzione. Ma il pubblico più esteso chiede sempre qualità a prezzi bassi e gli allevamenti di grandi dimensioni sono tali proprio per assecondare queste richieste oltre che per evitare i rischi e le conseguenze degli allevatori stile “Nonna Papera” che spinti certo da propositi ideali sono anche caratterizzati da una certa impreparazione scientifica.

Per capirci meglio dobbiamo anche considerare che ci sono ancora molte persone che criticano gli allevamenti protetti mentre castrano allegramente i loro pet e li imbottiscono esageratamente di cibo. E non possiamo fare a meno di registrare che c’è ancora chi crede che la terra sia piatta. Sarebbe curioso scoprire che sono le stesse persone che credono alle fattorie di Nonna Papera.

Tornando al tema degli allevamenti, concentrare la produzione di uova (e di carne) consente enormi ottimizzazioni delle risorse, risparmi di territorio, di energia, di mangimi, di movimentazione di mezzi per il trasporto… e soprattutto consente di garantire forniture costanti sia di carne che di uova anche quando dovesse accadere che un allevamento abbia un problema sanitario (accade come accade agli umani che prendono un raffreddore o altro).

Gli allevamenti protetti sono “protetti” perché l’attenzione dedicata alla cura degli animali è oggi estremamente curata e questo perché avere animali sani è una priorità per un allevatore che non si può permettere di avere animali che non siano sani.

Non approfondisco l’elenco delle ricerche e delle cure che ne conseguono cui gli allevatori moderni attingono e applicano, ma una vale la pena di sottolinearla: gli allevamenti all’aperto di Nonna Papera espongono gli animali ai gravi rischi di infezione e di aggressione da patogeni che sono presenti proprio all’aperto e che animali allo stato brado non riescono ad evitare come invece avviene negli allevamenti coperti e quindi protetti.

Va ricordato che, giusto per fare un esempio, le infezioni aviarie provengono esclusivamente da animali selvatici che entrano in contatto con quelli allevati all’esterno (un approfondimento su questo tema lo trovate anche al seguente link https://www.esempidaimitare.com/nutriamoci/2021/12/06/piu-dellinfluenza-aviaria-colpisce-il-come-se-ne-parla/ ).

I piccoli allevamenti non hanno la capacità tecnica e le risorse per far fronte alle necessarie attenzioni che invece solo i grandi allevamenti consentono e – non meno importante- garantiscono livelli di sicurezza alimentare impossibili per il piccolo allevatore.

I piccoli allevatori possono allestire suggestive fattorie in grado  (nelle dimensioni citate nell’articolo) di fornire uova ad un paesino di 1500 abitanti. Ma le uova, pensateci, non sono solo l’ovetto sodo o la frittatina famigliare… servono a milioni di famiglie, pastifici, produttori di dolci, ristoranti… Tutte entità che bussano costantemente alle porte dei grandi allevamenti tramite i grossisti e la GDO.

Provate voi, se vi riesce, ad allevare polli e galline rispettando insieme gli standard di benessere, i costi per farlo, il prezzo accettato dal consumatore e quello pagato dalla gdo. Provateci.

Questo è il link all’articolo completo che invito a leggere con spirito critico:

https://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/bari/cronaca/21_novembre_09/nel-salento-l-uovo-perfetto-qui-coccoliamo-galline-63b3bff8-4192-11ec-965c-10ee6be5e2c6.shtml

Pietro Greppi – consulente per l’etica in comunicazione – info@ad-just.it

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